venerdì 17 luglio 2015

ESTATE

fa caldo.
quel caldo, denso, soffocante, appiccicoso.
sto seduta in giardino, l'orlo del vestito che accarezza l'erba, i piedi scalzi sulla sedia di fronte.
è appena diventato buio, la brace della sigaretta emana una luce arancio vivo ad ogni boccata di fumo.
scaccio con la mano una zanzara dalla spalla, la pelle umida.
sono stanca.
chiudo gli occhi un momento...

Madison Square Park. 
ha piovigginato tutta la mattina, ma ora è uscito un po' di sole.
a pochi passi, sopra le nostre teste c'è "fata morgana", un'installazione di specchi che "diventa una sorta di miraggio scultoreo luminoso che falsa il passaggio e allo stesso tempo irradia una luce dorata", secondo Teresita Fernández. 
una di quelle cose che al primo sguardo ti fanno fare "ooooooooooh", ma poi più la guardi e più diventa brutta, secondo me.
se la fissi abbastanza a lungo quello che dovrebbe ricordare un caleidoscopio diventa una serie di fette di pomodoro tagliate in orizzontale e non puoi fare a meno di chiederti se non sia un messaggio subliminale del ristorante lì accanto.
ci saranno più di venti gradi, lui ha addosso una tshirt chiara sotto ad un cardigan antracite di lana grossa, i capelli arruffati sotto al solito berretto.
mi chiedo come faccia a non sentire caldo, poi mi ricordo del suo ufficio e dei pinguini fanno a nascondino con gli orsi polari, lì dentro, e lui che si chiude in uno dei tre loculi su una delle pareti per scappare dall'aria condizionata.
"sono strani, questi americani, sono davvero strani...", penso tra me e me.
indica col dito un punto oltre Shake Shack, più o meno all'angolo tra la 23ma strada e Madison avenue.
"lì, in quel punto lì, ho sentito più freddo in assoluto in vita mia. 
arrivavo da lì e stavo andando di là, dove avevo il mio primo lavoro quando sono arrivato a ny. 
ero tutto coperto, dappertutto, restavano fuori solo gli occhi, e ho pensato che non avevo mai avuto così freddo in vita mia".
quasi lo vedo camminare su quel marciapiedi non molto distante dalla panchina su cui siamo seduti ora, con il corpo irrigidito, le dita che perdono sensibilità, la mascella contratta per cercare di non far battere i denti.
lo immagino infagottato dentro al giubbotto, coi guanti, il berretto e la sciarpa che gli avvolge il viso fin sopra il naso, quegli occhi color castagna stretti in due sottili fessure orizzontali, il gelo che gli entra fin nelle ossa e non riesce a fargli pensare ad altro che al fatto che ha freddo. 
chissà se quel giorno aveva ai piedi i suoi stivaletti marroni... 
probabilmente no, ma a me piace far finta di sì... 



apro gli occhi. 
forse sì è alzato un po' di vento o forse è solo suggestione, ma sembra quasi fare meno caldo di due minuti fa.

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