lunedì 15 maggio 2017

SUNDAY IN NYC: QUELLA VOLTA CHE HO INCONTRATO #NN [capitolo 4: giovedì di domenica]


____________________________________nelle puntate precedenti: 1, 2 , 3______


tra me e la subway non è ancora amore.
decisamente.
sbaglio treno due volte, mandando tutte le maledizioni immaginabili alla MTA e al suo stronzissimo uptowndowntownexpresslocal.
senza accorgermi di aver preso un diretto anzichè un locale, scendo alla 14ma strada invece che alla 23ma e mi rendo conto che quella non è la via del mio albergo solo dopo che ho camminato almeno cento metri sotto tanta di quell'acqua che ad un certo punto IT da un tombino mi ha scongiurato di dargli un ombrello.
comincio sul serio a scaraventare giù santi dal paradiso con la fionda.
con la coda tra le gambe risalgo sul treno, ritorno indietro, riprendo a camminare sotto il diluvio.
mi fermo sconsolatissima sotto ad un ponteggio vicino all'hotel e accendo una sigaretta... sconfitta su tutta la linea da una stupida metropolitana... noncipossocredere.
salgo nel mio tugurietto, agguanto un asciugamano e sprofondo in quel letto talmente bianco e morbido da sembrare una nuvola; minchia, quanta acqua che ho preso...
chiudo gli occhi e nella mia mente riappare quel palazzo di mattoni rossi...
giovedì, ho detto che lo chiamo giovedì.
ripenso a quelle mille foto che ci siamo scambiati, a quel viso sempre diverso eppure sempre uguale; ripenso a tutti quei messaggi, alla sua presenza costante dal buongiorno alla buonanotte, le nottate in bianco attaccata al telefono; ripenso alla sua freddezza quando si è svegliato una mattina e semplicemente ha deciso che non aveva più posto per me, alla facilità con cui mi ha rimpiazzato con i suoi giocattoli nuovi.
ho detto giovedì.
cosa gli scrivo? mi manderà a cagare? e se non dovesse nemmeno rispondermi?
giovedì.
chissà cosa sta facendo...
oooohhhhhh... giovedìstocazzo.


suvvia, ma chi sto prendendo in giro???
giovedì sulla carta è un piano perfetto, ma lo sappiamo tutti che oggi è domenica e io per i prossimi quattro giorni non farò altro che imparanoiarmi su 'sto maledetto giovedì.
apro facebook e uno dei primi post che vedo è:













insomma... se lo dice il calendario filosofico...
prendo il telefono e, prima di farmi altre mille domande, gli mando una mia foto fatta stamattina prima di uscire.
"ti ricordi di me?"
premo invio e lancio il cellulare sul fondo del letto, già amaramente pentita della cazzata che ho combinato.
contro ogni aspettativa, il telefono trilla praticamente subito.
"yes, of course" eddaje, sapessi dove te lo infilerei il tuo stronzissimo of course... "anzi, volevo proprio scriverti a sorpresa in questi giorni" eccerto, come no... e se mia nonna c'aveva le ruote era 'na cariola....
mi dice che forse presto tornerà in Italia, ma non ne è ancora sicuro.
chattiamo per un po', mi manda una foto.
eccolo lì, #NN.
dopo mesi infiniti riappare sul display tra le mie mani e io rimango per un attimo senza parole.
sorride e sembra davvero un ragazzino.
è seduto su una poltrona di pelle scura, ha una camicia con le maniche arrotolate.
e le bretelle.
io e le bretelle abbiamo un affaire da quando ho tipo sei anni, le ho sempre adorate.
le bretelle hanno quella cosa lì, non sono affatto democratiche; quando le metti le cose sono due: o sei meraviglioso o sembri un coglione.
e lui è meraviglioso...
non ho la più pallida idea di come dirgli che sono qui, quando lui mi passa inconsapevolmente un assist da manuale: "raining like crazy in NY" esticazzi, lo so, l'ho presa tutta...
gli mando un'altra foto, fatta poco fa mentre fumavo fradicia e sconsolata fuori dall'hotel
"così?"
"così" risponde lui, mandando una foto in cui si intravede la pioggia fuori dalla finestra.
"sembra proprio la stessa pioggia", butto lì io.
"maybe"
"è proprio così", puntualizzo.
lui ciancica, io gli chiedo se possiamo vederci per un caffè.
continua a ciancicare e non capisco se sta cercando di scaricarmi o se non ha capito un cazzo.
opto per la prima opzione.
taglio corto e scrivo che starò qui solo pochi giorni e che mi farebbe davvero piacere se trovasse il tempo per quel caffè.
"qui in Italia dici?"
"no, qui"
"qui su whatsapp?"
scoppio a ridere come una cretina.
ok, abbiamo capito che non è stronzo, è solo lello.
"qui a NYC"
"ma sei qui??"
"già"
"e come cazzo facevo a saperlo io?"
mi sto divertendo un sacco; cioè... sarà un'ora che glielo sto spiegando, non sarà mica colpa mia se lui non c'ha il neurone sveglio...
sto ancora ridendo quando è lui a tagliare corto "sono in ufficio, vieni qui adesso".
ecco, ora non rido più proprio per nulla.
come sarebbe adesso?
adesso ora???
capiamoci un attimo, in questo preciso istante mi manca solo un cane e un bicchiere di carta per essere scambiata per una punkabbestia.
panico.
cerco di prendere tempo, lui mi risponde serafico di muovere il culo fino a lì senza rompere troppo le palle.
porcocazzo, me la sono cercata.
metto giù il telefono e incrocio il mio riflesso sullo specchio, stato attuale dei miei capelli: leone infeltrito.
cerco di non perdermi d'animo.
non è difficile, a casa lo faccio sempre: in cinque minuti faccio la doccia, in dieci asciugo i capelli mentre mi vesto, in altri dieci li piastro mentre mi trucco ed è fatta...
litigo furiosamente con la doccia per la seconda volta in un giorno: quella maledettissima cosa piastrellata ha due infernali manopole che devono essere per forza figlie di satana.
anche girandole entrambe in tutte le combinazioni umanamente possibili, non c'è verso di regolare la temperatura; l'acqua esce esclusivamente o un grado sopra lo stato solido o un grado sotto quello gassoso e tu puoi solo scegliere tra la congestione o l'ustione di terzo grado.
sia lodato l'inventore del miscelatore dell'acqua per tutti i secoli dei secoli.
amen.
esco da quella macchina di morte il più in fretta possibile, sperando di essere riuscita a risciacquare almeno metà del balsamo e faccio la cosa più intelligente che una persona in super ritardo potrebbe fare: mi infilo i jeans che ho portato tutto il giorno e la maglietta che ho usato per andare a dormire e scendo a fumare.
la nicotina mi riporta in uno stato più zen, in fondo, chessarammai?
risalgo al terzo piano a sistemarmi i capelli ma...
il voltaggio della presa è troppo basso.
il phon in pratica fa "fffffffffff" con una flemma tale che se mettessi la testa fuori dalla finestra e la scuotessi forte come i cani i miei capelli probabilmente si asciugherebbero prima.
voglio morire.
sto facendo tardissimo e chi mi conosce lo sa, io detesto la gente in ritardo.
non ho assolutamente tempo per usare la piastra, dovrò uscire conciata come un cocker.
un cocker straccione, per essere precisi, dato che so benissimo di non aver messo in valigia nulla di vagamente decente.
mi butto addosso qualcosa quasi a caso, di certo non quello che avevo immaginato per un mio ipotetico incontro con Mr.Manhattan.
mi do una spalmata di fondotinta con le mani, butto il mascara come capita-capita, pesco dal beauty case un lucidalabbra a caso; se mi vedesse cliomeicapp je pijerebbe un colpo seduta stante.
mi guardo allo specchio: ottimo lavoro Mad, no, davvero, brava, sembri una sedicenne che sta andando al Victoria negli anni '90.
________________________________________________to be continued..._______

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