martedì 30 giugno 2015

BROOKLYN


ci sono canzoni che in tre minuti raccontano una storia.
canzoni che svuotano lo stomaco, riempiono i polmoni e stringono il cuore.
canzoni che, quando le ascolti, ti fanno rivivere un momento come se fosse adesso.

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c'è un sole timido stamattina, anche se fa ancora freddo.
ho dormito poco e mi sono svegliata presto, come sempre da quando sono arrivata.
mi fermo in un piccolo parco con delle panchine e dei tavoli con una scacchiera disegnata sul piano. mentre bevo il caffè cinque o sei passeri si litigano le briciole rimaste sulla carta del cupcake più buono di sempre. mi chiedo se qualcuno ci ha mai giocato a scacchi davvero, in quel giardino.
dovevamo fare colazione insieme, #NN e io, ma ha avuto un impegno e mi ha rimbalzato a più tardi: "vieni a Brooklyn, L train", tutto qui.
nemmeno m'ero accorta che esistesse, una linea L.
giro un po' per Greenwich Village, entro nella prima stazione con il pallino grigio, salgo sul treno.



scendo alla fermata che mi aveva dato #NN, esco in strada, accendo una sigaretta.
sono in anticipo; lui non mi ha dato un orario, ma so che ha da fare.
prendo una direzione a caso e comincio a camminare guardandomi attorno.
Williamsburg è colorata.
mi ricorda un sacchetto di biglie di vetro, quelle con la spirale variopinta all'interno: allegra e chiassosa e allo stesso tempo fresca e trasparente.
i palazzi sono incastrati uno contro l'altro in quella paranoica disposizione a griglia, dando l'effetto di una cittadina costruita coi Lego.
se dovessi scegliere d'istinto un posto a NY in cui abitare tra quelli che ho visto finora, molto probabilmente sarebbe questo.
torno alla fermata della metro, come una bambina a cui la mamma ha detto "aspettami qui", e mando un messaggio. sul display appare "facciamo 12 pm" e un indirizzo.
ho ancora un'ora per guardarmi attorno e riprendo a camminare con calma.
lì in fondo, da qualche parte, dovrebbe esserci l'East River. "che poi è un mare, chissà perchè lo chiamano river?", le mie domande esistenziali.
sono arrivata davanti a un parco; credo di averlo già visto su qualche sito, quando facevo un programma delle cose da visitare prima di partire. 
quel programma che poi non ho seguito, come sempre. 
dev'essere quel posto col nome impronunciabile dove al sabato si mangia l'iraddiddio.
spengo la sigaretta ed entro.
nelle immagini che avevo visto era diverso; in realtà è spoglio e brullo.
e deserto.
New York è deserta.
è strano... questa città è la più grande in cui sia mai stata, ma paradossalmente è anche quella che più mi ha dato un senso di serenità. 
ripenso alle parole di #NN, tanti mesi prima, quando mi diceva che odia Londra perchè è "so messy" e, anche se non posso sapere cosa significhi realmente vivere qui ogni giorno, forse ora capisco un po' di più cosa intendeva.
scatto qualche foto dalla riva, immagini svogliate e scontate dello skyline di Manhattan, e poi mi siedo a guardare le onde che si infilano tra le rocce con un ritmo simile a quello di un respiro.
è quasi passata un'ora... ho un indirizzo da raggiungere.
mando un messaggio davanti al portone di un palazzo a cinque piani con le scalette antincendio rosse: "ti aspetto qui sotto", "scendo". 
fisso la vetrina di un negozio, ma sono talmente nervosa che non ho nemmeno idea di cosa venda e all'improvviso c'è il suono di una serratura che scatta... mi volto e un ragazzo che non conosco mi guarda un po' stranito, prende una scopa e inizia a spazzare il marciapiedi.
un altro scatto, alzo gli occhi e forse i polmoni perdono una presa: lì sulla soglia c'è lui.
ed è splendido.
pantaloni, camicia, gilet, giacca, occhiali da sole, una bellissima cartella di pelle vissuta, tiene a guinzaglio un cane che ho già visto prima.
sta lì fermo facendosi ammirare per un attimo e io, che conservo sempre tutto, quell'attimo vorrei poterlo fermare con una fotografia.   
un breve giro dell'isolato, qualche chiacchiera e riportiamo a casa il cane; vorrei tanto accarezzarlo e vorrei accarezzare lui ancora di più, ma mi tengo alla larga da entrambi...
mi chiede se voglio un bagel, sto per rifiutare, non so nemmeno io perché, ma mi lascio andare e rispondo di sì.
"dolce o salato?" "salato"... risposta sbagliata, me ne accorgo subito;  #NN ha questa cosa strana, un'espressione che dura una frazione di secondo e poi scompare, un riflesso incondizionato ogni volta che dici qualcosa che non è esattamente quello che pensa lui.
chissà se lo sa...
"io lo prendo con la jelly, lo prendo sempre con la jelly. tu con cosa lo vuoi?"
"scegli tu".
"scegli tu", quando sei una persona che passa mezz'ora a scartabellare la lista degli ingredienti per ordinare una pizza, è come fare un salto nel vuoto, ma ora va bene, con lui, ora, salterei ovunque. 
lo guardo mentre svuota contemporaneamente tre bustine di zucchero nel caffè e versa nel bicchiere più latte di quanto ce ne possa stare.
mi perdo ad osservare questo uomo che si prepara ad un meeting d'affari e mangia panini con la marmellata per pranzo come i bambini di sei anni...
i mille volti di #NN.
non ho mai conosciuto nessuno che sia così tante cose diverse rimanendo sempre e comunque se stesso.
è tardi, deve tornare a Manhattan; andiamo a prendere la metro e mentre attraverso il tornello all'entrata lui, con mille cose in mano, non trova la tessera e rimane fermo sulla sbarra. boffonchia qualcosa sul fatto che non sia possibile che una pretending newyorker possa batterlo nello strisciare la metrocard e mi fa sorridere, mentre gli prendo dalle mani il caffè che miracolosamente non si è rovesciato addosso. "non sei proprio capace di perdere" penso "per tua fortuna quelli come te non perdono quasi mai".
il treno arriva subito, saliamo e lui mi concede quella foto insieme che mi è costato una fortuna chiedere, ma che desideravo da morire; tre scatti orrendi, sfocati e controluce, che mi porterò a casa come uno dei ricordi più belli di questo viaggio.
guardo quegli occhi scuri, di un color castagna dolce, morbido, rassicurante... hanno l'aria stanca e soddisfatta di chi corre per raggiungere i propri traguardi.
lui parla... del suo lavoro, dei suoi progetti, delle sue ambizioni... "se ora vincessi alla lotteria sarei contento solo a metà".
lo guardo e quasi non apro mai bocca.
e non perchè non ho nulla da dire, ma perchè mi piace starlo ad ascoltare.
il treno attraversa velocemente il ponte.
Brooklyn ormai è dalla parte opposta di quel mare col nome di un fiume.

*************

ora sono davanti ad un pc...
a rivedere quelle immagini attraverso una canzone.
a cercare di rendere a parole quella fotografia che non ho scattato.
a mettere nero su bianco un ricordo per poterlo finalmente lasciare andare e allo stesso tempo per non dover aver paura di perderlo.

qui non è Parigi e finalmente ha smesso di piovere.
ma questo non cambia che a Brooklyn ho lasciato un pezzetto di me.

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